Ricordo che tre anni fa, era da poco passata l’ora di pranzo, io me ne stavo sdraiato sul letto quando sento delle urla provenire dal piano di sopra.
Mi alzo di soprassalto perché di sopra ci abitano i miei.
Nemmeno il tempo di realizzare che sento suonare ossessivamente al mio campanello.
Apro.
Mio nipote farfuglia qualcosa su nonno che è caduto, non lo faccio nemmeno finire di parlare che mi precipito su per le scale.
Arrivo nel bagno di casa dei miei e mio padre è li a terra, esanime, con mio cognato che tenta un disperato tentativo di rianimazione.
Mio padre il 12 Luglio di tre anni fa ha preferito andare… Un’istante lavava i piatti in cucina, un’istante dopo non era più su questa terra…
Non so come percepiscano questi momenti gli altri, non ho la minima idea di cosa resti nell’incoscio di chi vive un’esperienza così traumatica, so solo che io c’ho messo molto per assorbirla e solo oggi me ne rendo conto.
Quello che mi è rimasto di quel momento è una fotografia:
Sono nel bagno, sollevo a me il corpo esanime di mio padre e lo abbraccio, in quel preciso istante sento che in quel corpo lui non c’è più ma sento anche che c’è una qualche energia tutto intorno che pervade la casa, sento la sacralità di quel trapasso e per un momento avverto un silenzio.
Passano pochi istanti e arrivano due infermieri, come nei film ascoltano il battito del cuore di mio padre dal collo, proprio come nei film uno dei due scrolla la testa mimando un no, proprio come nei film chiudono gli occhi e coprono il volto con un lenzuolo .
Dopo quel momento ricordo solo l’urlo straziante di mia sorella.
Se non avessi viva dentro di me quella fotografia del mio momento con lui forse tutto sarebbe stato più difficile per me;
sarebbe stato difficile accettare la violenza della vita che percepiamo come certa e dovuta e che in un’istante scappa da questa terra per andare chissà dove.
Ricordo poi tutta la farsa che ne derivò dopo:
la scelta della bara, dei manifesti mortuari, dei fiori, il momento della chiusura della bara, il trasporto in chiesa, le parole del prete, la carovana al cimitero e l’ultima scena, la più agghiacciante;
un manovale che mura il loculo dove è appena stato messo il corpo di mio padre e che incide sul cemento le sue iniziali con le dita che serviranno da riferimento quando si dovrà mettere il marmo della lapide che, lucido, coprirà l’immensa ipocrisia che nasconde ogni rituale di morte.
Se non avessi avvertito quell’istante sacro in bagno abbracciato a mio padre adesso la fotografia della sua morte sarebbero due iniziali sul cemento scritte dalle dita di un manovale che si sbriga a finire il suo lavoro per andare a murare qualcun altro.
Da quel giorno ho compreso che vita e fotografia sono inscindibili….
Quell’immagine indelebile dentro me, quella fotografia che non ho mai scattato, è la più nitida della mia vita.