FOTOGRAFIA TRA COMUNICAZIONE E MARKETING

Anche oggi posto un video dove cerco di spiegare il concetto espresso nel titolo.

A proposito della comunicazione, le persone che mi seguono avranno capito che scelgo sistemi diversi di comunicazione a seconda del messaggio che voglio mandare.

Il video è un messaggio dove io “ci metto la faccia” e quindi potete prendere anche dai miei gesti e le mie espressioni quello che tento di comunicare.

La scrittura invece la utilizzo per mandare messaggi più esoterici, dove è importante essere disposti a stare li a pensare per poter entrare nel senso delle cose che tento di esprimere.

Tutto questo non significa che io ci riesca ma il tentativo è di questo tipo.

Buona giornata a tutti e buona visione

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LA MOSTRA DI STEVE MC CURRY

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Foto di Steve Mc Curry

 

Dal testo trovato su internet:

Cuore de “I Borghi di Francesco” è la doppia mostra fotografica allestita sotto gli archi del Palazzo Papale. Un percorso per immagini che da un lato vede l’esposizione delle immagini realizzate qualche anno fa tra i santuari della Valle Santa reatina da Steve McCurry e acquistate dal Comune di Rieti; dall’altro la lettura dei borghi che nasce dall’obbiettivo di chi la Valle Santa la vive quotidianamente.
«Nell’epoca dei selfie – ha spiegato il vescovo Domenico – la rassegna fotografica potrebbe sembrare fuori dal tempo. In realtà McCurry ci dà la possibilità di riscoprire cosa sia la fotografia e attraverso di essa l’anima di questo nostro territorio, che forse il nostro sguardo abituato rischia di perdere». Da questo punto di vista l’occhio del fotografo può rappresentare un aiuto a intercettare «l’anima, e dunque la vocazione, di Rieti», al di là delle mode del momento. Un qualcosa che si trova nella sua «vocazione naturalistica, culturale e spirituale».

Devo essere sincero, durante la visita che ieri ho fatto alla mostra non mi sono reso conto che le immagini non fossero solo di Steve Mc Curry ma che l’allestimento prevedesse anche immagini di chi “la Valle Santa la vive quotidianamente”.

Adesso, pur volendo ammettere che la mia capacità di lettura fotografica non possa essere quella di un photo-editor professionista, sono rimasto stupito del fatto che io non mi sia accorto del doppio linguaggio e dei diversi autori in mostra.

Certo ci sono delle immagini più valide e alcune meno valide, alcune di una banalità imbarazzante e altre meglio costruite ma non posso dire che io sia uscito dalla mostra col cuore in subbuglio per l’emozione provata.

Non metto in dubbio che l’intento di Steve Mc Curry fosse documentaristico e quindi, proprio per la tipologia di fotografia di questo genere, l’emozione la prova solo chi vive nel luogo e lo vede raffigurato, certo è che io credo che i luoghi attraversati da San Francesco avessero bisogno di uno sguardo più profondo e forse più universale.

Dalla mostra sono uscito con una serie di interrogativi legati agli autori blasonati e alla fotografia come linguaggio.

Se facciamo il tipico parallelo con la scrittura, forse il mio pensiero può esprimersi meglio.

Ogni autore in quanto scrittore sceglie un genere, spesso ha anche un modo di scrittura e spesso decide anche per una tipologia di stesura dei suoi lavori:
può scegliere la poesia, il romanzo, il saggio,il documento, in base a quello che deve descrivere

Adesso possiamo ben comprendere che un libro sbagliato di Umberto Eco venderà lo stesso e un capolavoro di Pinco Pallino potrebbe non trovare una casa editrice per mille motivi che non hanno nulla a che fare con la reale validità dell’opera, ma il sentire è qualcosa che accomuna tutti gli uomini, siano essi blasonati o meno.

Credo che a parità di capacità tecnica quello che fa la differenza tra la scrittura di un’autore e un’altra sia il “sentire”.
Dal mio punto di vista, ammettendo che Steve Mc Curry sia un grande fotografo, credo che l’unica motivazione di un lavoro così poco potente nasca dal fatto che non fosse realmente suo, che non lo sentisse.

Certo, i soldi che il Comune di Rieti ha sborsato vanno giustificati,

certo il fatto che le foto siano di Steve Mc Curry anziché di Mario Rossi fotoamatore indigeno del luogo richiamerà molta più gente,

certo che la figura di San Francesco non subirà nessun contraccolpo verso l’alto o verso il basso dopo questa mostra,

ma è anche certo che un lavoro fotografico del genere non è stato in grado nemmeno di scalfire la superficie di un’argomento poderoso come quello del cammino di uno dei Personaggi Religiosi più importanti al mondo.

La fotografia è fatta di forma e contenuto e se non c’è la forma il contenuto non può esprimersi al meglio,

ma la forma senza contenuto è come un vaso trasparente vuoto che anche se è nato per contenere qualcosa non fa che rimandare ciò che egli stesso riflette in maniera distorta peggiorando la visione della realtà.

In conclusione credo che la fotografia abbia bisogno dei grandi autori ma sono i lettori che ne decidono il destino e quindi la mia riflessione è questa:

Che si tratti di cittadini o Vescovi, l’analfabetismo fotografico è un grande problema sopratutto nel tempo dei selfie.

L’Italia è piena di fotografi al pari se non superiori a Steve Mc Curry che, in quanto culturalmente vicini a San Francesco, avrebbero saputo rendere con più vigore tale figura e con ogni probabilità sarebbero costati qualche spicciolo in meno.

Ma troppo spesso chi non sa leggere un libro cita Dante e chi non sa leggere una fotografia cita Steve Mc Curry, senza nulla togliere a nessuno dei due.

Rivalutiamo i fotografi Italiani…

Nessun Americano si sarebbe sognato di comprare una storia americana fotografata da Mario Giacomelli, e noi invece compriamo all’estero anche la pizza…

LA MORTE DI MIO PADRE…

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Ricordo che tre anni fa, era da poco passata l’ora di pranzo, io me ne stavo sdraiato sul letto quando sento delle urla provenire dal piano di sopra.

Mi alzo di soprassalto perché di sopra ci abitano i miei.

Nemmeno il tempo di realizzare che sento suonare ossessivamente al mio campanello.

Apro.

Mio nipote farfuglia qualcosa su nonno che è caduto, non lo faccio nemmeno finire di parlare che mi precipito su per le scale.

Arrivo nel bagno di casa dei miei e mio padre è li a terra, esanime, con mio cognato che tenta un disperato tentativo di rianimazione.

Mio padre il 12 Luglio di tre anni fa ha preferito andare… Un’istante lavava i piatti in cucina, un’istante dopo non era più su questa terra…

 

Non so come percepiscano questi momenti gli altri, non ho la minima idea di cosa resti nell’incoscio di chi vive un’esperienza così traumatica, so solo che io c’ho messo molto per assorbirla e solo oggi me ne rendo conto.

Quello che mi è rimasto di quel momento è una fotografia:

Sono nel bagno, sollevo a me il corpo esanime di mio padre e lo abbraccio, in quel preciso istante sento che in quel corpo lui non c’è più ma sento anche che c’è una qualche energia tutto intorno che pervade la casa, sento la sacralità di quel trapasso e per un momento avverto un silenzio.

Passano pochi istanti e arrivano due infermieri,  come nei film ascoltano il battito del cuore di mio padre dal collo, proprio come nei film uno dei due scrolla la testa mimando un no, proprio come nei film chiudono gli occhi e coprono il volto con un lenzuolo .

Dopo quel momento ricordo solo l’urlo straziante di mia sorella.

Se non avessi viva dentro di me quella fotografia del mio momento con lui forse tutto sarebbe stato più difficile per me;

sarebbe stato difficile accettare la violenza della vita che percepiamo come certa e dovuta e che in un’istante scappa da questa terra per andare chissà dove.

Ricordo poi tutta la farsa che ne derivò dopo:

la scelta della bara, dei manifesti mortuari, dei fiori, il momento della chiusura della bara, il trasporto in chiesa, le parole del prete, la carovana al cimitero e l’ultima scena, la più agghiacciante;

un manovale che mura il loculo dove è appena stato messo il corpo di mio padre e che incide sul cemento le sue iniziali con le dita che serviranno da riferimento quando si dovrà mettere il marmo della lapide che, lucido, coprirà l’immensa ipocrisia che nasconde ogni rituale di morte.

Se non avessi avvertito quell’istante sacro in bagno abbracciato a mio padre adesso la fotografia della sua morte sarebbero due iniziali sul cemento scritte dalle dita di un manovale che si sbriga a finire il suo lavoro per andare a murare qualcun altro.

Da quel giorno ho compreso che vita e fotografia sono inscindibili….

Quell’immagine indelebile dentro me, quella fotografia che non ho mai scattato, è la più nitida della mia vita.