EUGENE SMITH E L’INCOSCIENZA DI SE…

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Eugene Smith è un esempio lampante di come ci fosse un abisso tra quello che la sua fotografia aveva colto, e quello che la sua mente aveva colto. Nel tentativo di raccontare Pittsburg, impazzi decisamente. Non riuscì a ridurre il suo lavoro a meno di duemila scatti, infatti non fu mai possibile pubblicarlo. Smith era si un ossessivo eppure la sua fotografia non era ossessiva. Molte sue immagini sono dei tagli che bucano la struttura mondo. Lui ha fotografato il punto dove la barca di Truman si infrange nel cielo finto che appare dipinto, e che va al di la del muro (riferimento al film “the Truman show”). Smith non riusciva a selezionare le sue foto per una pubblicazione perché vedeva l’inconciliabilità tra i confini di un giornale o di una mostra, e lo sconfinato mondo che la sua fotografia vedeva. Molta grande fotografia è arrivata a noi non per coscienza dei fotografi, ma per autocoscienza della fotografia di se stessa. In questa immagine sia gli occhi della suora che l’orecchio del passante in fuori fuoco, ascoltano un dio. La sorella forse crede di esserne consapevole, il passante ascolta distrattamente… eppure dio è in questi simboli ma li travalica…lo sguardo della suora sembra strapparle i vestiti di dosso, tramutando il suo status in uno sguardo troppo umano direbbe Nietzsche. Mentre quell’orecchio ascolta distrattamente…come fa di solo l’umanità. Che roba ragazzi! Pensare che lo hanno chiamato fotogiornalista… come dire a Dante che era bravo a fare la lista della spesa…. D’altra parte Dante ce lo raccontano come uno consapevole di se, Smith no.

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