Leggevo un articolo, credo ironico, di Settimio Benedusi su cosa non fotografare.
In pratica è una specie di elenco sugli stereotipi in fotografia, almeno quelli che lui ritiene tali.
Questa è la lista che lui fa:
-città riflessa nelle pozzanghere
-luoghi abbandonati
-gattini
-tramonti (albe sì, tramonti no)
-bambini neri
-maschere veneziane
-mare, fiumi e cascate con acqua effetto mosso setoso
-vecchietti che camminano da dietro in bianco e nero
-tipe a letto alla pecorina con le mutande abbassate
-sè stessi allo specchio con la macchina fotografica in mano
-mendicanti
-qualsiasi palazzo fotografato con il grandangolare e le linee cadenti storte
-gabbiani
-Venezia
-musicisti che suonano e cantano in concerto
-vecchi sdentati del terzo mondo che ridono. ma anche che non ridono.
-manichini nudi
-artisti di strada
-filari di alberi
-girasoli
-cuccioli di qualsiasi tipo e razza
-tipa che finge di avere un orgasmo (fingono sempre)
-tipa con tanti tatuaggi
-tipa con tanti tatuaggi che finge di avere un orgasmo figuriamoci
-tipa vicino a una finestra
-tipa con tanti tatuaggi che finge di avere un orgasmo fotografata vicino a una finestra ciao proprio
-tipa con i tacchi a spillo a letto
-tipa con le lentiggini siamo lì per aver rotto il cazzo pure lei
-sposi con il grandangolare dal basso
-cibo
-ballerini
-macro fotografia di qualsiasi cosa
Ben conscio del fatto che questa sia una provocazione, e ben conscio del fatto che spesso esista un’idea ciclostilata di fotografia, credo che sia un modo di approcciare all’idea di immagine quantomeno semplificata ( e questo Benedusi lo sa benissimo).
Partiamo col dire che una fotografia singola può certo passare alla storia ma difficilmente nasce e muore da sola, nel senso che un fotografo tende a fare un discorso fatto di immagini e quindi spesso le foto che diventano famose sono parte di un reportage lungo, piuttosto che di un lavoro concettuale o altro.
Questo per dire che chi approccia alla fotografia scattando a tutto quello che ritiene bello e che, il più delle volte appaga il suo ego, sta attraversando una fase importante della sua storia di fotografo, quello di provare a capire chi è, ma certo ancora non utilizza la fotografia per quello che è, un linguaggio.
In questo senso va bene scattare a tutto, w i tramonti e i riflessi, tutto fa gioco in quella fase.
Va bene pure sentirsi un grande fotografo in modo di arrivare a quel fatidico giorno in cui la mortificazione del rendersi conto di non aver capito nulla della fotografia farà da crocevia nella propria”carriera”.
C’è chi lascerà la reflex in un cassetto preferendo vivere il sogno illusorio dei suoi passati “successi” di pubblico, e chi prenderà la lezione come la miglior cosa mai accadutagli, continuando a fotografare e a migliorarsi.
L’Articolo di Benedusi, per quanto divertente, a mio parere è fuorviante per chi comincia, ma anche per chi fotografa da anni, perché trascura l’argomento principe, cioè che la fotografia è un linguaggio che serva per comunicare.
Se uno scrittore per comunicare qualcosa deve usare spesso la parola “amore” e lo farà in funzione del discorso che sta facendo, non si preoccuperà del fatto che la parola “amore” è inflazionata, ma la userà per uno scopo.
Diverso è scrivere una poesia che dice “Sole cuore amore” allora forse c’è qualcosa da rivedere, sempre ammesso che chi sta imparando a scrivere proverà una forte eccitazione il giorno che riuscirà a scrivere “Sole cuore amore” per intero.
Non serve originalità nell’interpretare Venezia, e non serve la distruzione dello stereotipo, serve “AVERE QUALCOSA DA COMUNICARE”
Se io voglio fare un ode al Sole scatterò 1000 tramonti e sarà una poesia al Sole, ma non farò del Sole un singolo tramonto…