LA FOTO PAGATA $4,338,500

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Si tratta di una monumentale fotografia del fiume Reno (scattata da Andreas Gurcky) , stampata nel 1999 e che misura la notevole dimensione di circa tre metri di lunghezza per due.

Non conosco la storia di questa immagine e certo ce ne sono altre famose per il loro prezzo folle, ma come al solito a me piace riflettere su alcuni comportamenti umani legati al denaro e all’arte fotografica piuttosto che alla cronaca storica.

Mi sono divertito a mettere un articolo sul mio gruppo Facebook chiedendo se piacesse loro l’immagine più pagata nella storia della fotografia.Le risposte sono state tante e diverse.

Voglio divertirmi anche io a dare una risposta.

Che legame può esserci tra un’immagine e il suo prezzo?

E il valore artistico di un’immagine è dato dal suo prezzo?

Innanzi tutto mi piacerebbe soffermarmi sul concetto di “Valore” che etimologicamente descrive una virtù dell’animo legata alla forza interiore e che oggi forse assume un significato diverso.

Poi mi piacerebbe soffermarmi sul concetto di “Arte” il cui significato descriveva le capacità tecniche raffinate ritrovate nelle opere di alcuni individui  e anche questo termine mi sembra non abbia lo stesso significato oggi.

Passiamo poi al concetto di “Prezzo”che sia in antichità che oggi aveva a che fare col costo di una determinata merce in vendita.

È singolare notare come solo la parola “prezzo” abbia conservato il suo significato antico mentre le altre due lo abbiano perso.

Questa è una caratteristica dei nostri tempi:

le terminologie economiche sono sempre più dettagliate e precise mentre tutte le parole  che riguardano l’interiorità dell’individuo sono multi-interpretabili (anima, amore, arte, valore, sentimento, emozione etc etc….).

 

Cosa lega una foto , l’Arte, il suo prezzo e il suo valore?

Cosa sta comprando uno che paga una stampa più di 4 milioni di dollari?

Credo che per dare una risposta esauriente a questa domanda dovrei innanzi tutto essere una persona che può permettersi di spendere quella cifra e non è il mio caso, ma posso azzardare un’ipotesi:

Probabilmente una persona che può spendere 4 milioni di dollari per una stampa ha una visione del denaro e del “valore”  molto diversa da quella di una persona  che guadagna uno stipendio normale:

mentre il ricco sta comprando qualcosa che gli piace ma che, in un certo qual modo ne sancisce il suo potere, probabilmente la persona normale da valore a quella cosa in base al prezzo e quindi conferma il potere dell’acquirente collegando prezzo e valore.

Si potrebbe quasi affermare che in questo rapporto col denaro c’è tutta la storia dell’umanità conosciuta.

Vi racconto una storia:

C’erano una volta due persone molto ricche che non andavano d’accordo. Il loro potere economico era pressoché identico e spesso, negli affari, si trovavano a scontrarsi uno con l’altro. Un giorno si incontrarono ad un’asta dove si vendevano delle fotografie. Il ricco numero uno si accorse che il ricco numero due voleva acquistare a tutti i costi una determinata fotografia e solo per il gusto di non dargliela vinta cominciò ad alzare il prezzo della foto. Lo scontro durò quasi un’ora finché il ricco numero uno mollò la presa appena valutò che il ricco numero due stava per pagare quella foto una cifra spropositata.

L’artista che aveva scattato quell’immagine rimase stupito quando seppe che la sua foto era stata pagata milioni di euro e questo fatto fece così tanto scalpore nel mondo dei galleristi che tutte le opere del tale artista schizzarono alle stelle.

Non so se per la foto del Reno sia andata così, magari questo scatto, che può essere fatto da uno che studia fotografia da un mese, è veramente un’opera d’arte e il suo valore economico corrisponde al suo valore artistico, ma forse dovremmo riflettere su un fatto fondamentale:

SE NOI FACCIAMO CORRISPONDERE IL VALORE DI UNA COSA RISPETTO AL SUO COSTO IN DENARO STIAMO SEMPLICEMENTE DICENDO CHE LE COSE VALGONO SOLO SE HANNO UN PREZZO, E SE SI TRATTA DI PREZZO SOLO CHI HA POTERE ECONOMICO HA VOCE IN CAPITOLO.

È vero che nella storia l’Arte e il Potere sono sempre stati legati, ed è anche vero che un Michelangelo è arrivato fino a noi solo perché La Chiesa l’ha commissionato nelle sue opere, ma è altrettanto vero che l’Arte non è solo qualcosa da guardare ma è anche una forma di ossigeno che si può respirare.

L’Arte non è solo in un’opera ma anche dentro l’essere umano che sa distinguere il reale dall’artificiale non cercando nel suo conto in banca ma nel suo cuore, in quel qualcosa di atavico che ognuno di noi porta dentro di se.

Credo che lo spirito di milioni di artisti mai commissionati e scomparsi nell’anonimato viaggi nel mondo, e che ognuno possa coglierlo dentro di se quando si collega alla sua vera essenza, quella che ci rende tutti parte di qualcosa di più grande di noi.

Se invece continuiamo a guardare fuori anziché dentro, allora anche una semplice foto del Reno sarà equiparata a un’opera d’Arte solo perché qualcuno ha deciso di pagarla una cifra spropositata.

 

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LA MUSICA CHE GIRA INTORNO…

 

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Ascoltavo su youtube un’intervento fatto da Sarah Moon (grande fotografa contemporanea), dove era presente la curatrice delle sue mostre e una critica di fotografia.

L’intervento avveniva su un palco davanti al pubblico e faceva parte di un’evento durante il quale si presentava la mostra “Alchimie” (di Sarh Moon appunto).

Ho ascoltato per 35 minuti parlare queste due signore il cui intento era quello di fare da cornice alla fotografa e per tutti i 35 minuti non hanno detto nulla, a parte forse il ridicolo tentativo di adulare l’artista e di farla parlare poco o niente.

A differenza di molti che credono che la fotografia e la parola siano linguaggi che non si incontrano, io credo che invece possano coesistere anche se questo non fa si che siano interscambiabili.

La parola può aggiungere o togliere senso ad un immagine così come può farlo uno sguardo, dipende sempre dallo stato d’animo e dalla capacità dell’osservatore.

Dal momento che io credo che la fotografia debba far pensare, ritengo che unirci la parola abbia un senso, ammesso che si voglia dire qualcosa.

A volte i curatori di mostre, nonché i critici, hanno come principale preoccupazione quella di giustificare la loro presenza in un determinato luogo. Non dico che un curatore di una mostra non serva o che i critici non abbiano la loro funzione, ma di certo tale funzione  non consiste nello giustificare quello che fanno davanti a un pubblico che è venuto per sentir parlare la fautrice delle opere e non il corniciaio.

Non ho mai visto, durante uno spettacolo teatrale, arrivare sul palco il tecnico delle luci ad affermare che gli attori sono molto bravi ma che le luci le ha fatte lui, lo prenderebbero tutti per pazzo, invece un critico o un curatore può farlo.

Mi immagino sempre un mondo senza denaro e senza scambi commerciali, non per un eccesso di romanticismo o per l’inseguimento di una utopia ma piuttosto per scremare le cose che accadono e cercare di arrivarne alla realtà.

Se noi togliamo l’intero indotto economico che gira dietro a un’evento come può essere una mostra fotografica, allora resta il senso reale di quello che l’artista ha creato. È per questo che un critico o un curatore devono continuamente dire cosa fanno, perché altrimenti non se ne accorgerebbe nessuno del pubblico.

È altrettanto vero che senza queste figure, nel mondo come quello di oggi, nessun artista potrebbe mai essere visto perché sono i contatti con un determinato ambiente che segnano la strada per arrivare ad essere esposto in un museo o una galleria anziché nel locale del tuo amico. E se in un museo è esposta la stessa foto che era esposta nel locale del tuo amico, quella foto non è la stessa, perché chi la guarda fa differenza in quello che vede a seconda del contesto.

Arriviamo alla “Musica che gira intorno” frase che ho rubato dal titolo di una canzone di Ivano Fossati che nel testo recita così:

“Sarà la musica che gira intorno, quella che non ha futuro, saremo noi che abbiamo nella nostra testa un maledetto muro”

Ed è su quel muro che critici e curatori appendono le nostre fotografie, ammesso che decidano di farlo.

 

 

SOCIAL E FOTOGRAFIA…

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Senza bussola.

Questa è la frase che mi sembra più consona per descrivere il modo in cui il mondo della fotografia si incontra col mondo dei social.

Partiamo dall’inizio:

I nostri tempi hanno come denominatore comune questa assoluta perdita di confini:

come un fiume senza argini che da una parte permette all’acqua di uscire da un canale ed andare a nutrire un terreno sconosciuto, dall’altra rischia di perdersi in uno stagno e morire nella totale immobilità al gracchiare delle rane.

Quali sono i fattori comuni che possiamo prendere come punti di riferimento oggi, malgrado la perdita totale di confini?

Dal mio punto di vista sono due: velocità e superficialità.

Oggi, dopo una chiacchierata con un amico ieri sera, mi è venuta l’idea di crearmi un profilo su snapchat, la chat dove gli elementi sopracitati trovano la massima espressione.

Non conosco benissimo il meccanismo perché mi sono appena iscritto ma da quello che ho letto si tratta di una chat che permette di inviare messaggi multimediali di ogni genere, dalle foto ai video animati e, per gli amanti del vintage, anche di scrivere.

La caratteristica che più mi ha dato da riflettere e che questi messaggi si autodistruggono in pochi secondi. Al massimo si può decidere di salvarli per 24 ore e poi comunque spariscono.

Continuando la mia ricerca sul parallelo social-fotografia, ho creato un profilo su Pinterest, social che ha come tema “le idee”suddivise in argomenti (architettura, arte , giardinaggio..etc), e qui, la bacheca comune ad  ogni utente corrisponde a una serie di immagini che scorrono una attaccata all’altra prive di scritte o titoli.

Cliccando sull’immagine puoi approfondire l’argomento che l’immagine riassumeva. Stesso meccanismo del cartellone pubblicitario con in aggiunta l’elemento informazione che la pubblicità non da più da secoli oramai.

Instagram e un’altro social fondato sull’immagine e l’altro giorno, ascoltando un fotografo piuttosto famoso descrivere il suo profilo, spiegava di come avesse molti più like una foto del suo cappuccino mattutino piuttosto che le sue immagini famose.

Passiamo a facebook, il più noto.

Da alcuni articoli che ho letto sembra che il social, fondato prevalentemente sulla possibilità di postare contenuti multimediali che poi permangono sulla propria bacheca, stia vivendo una crisi legata all’assenza di contributi creati dagli utenti. Sembra che ci sia sempre meno creazione di contenuti e sempre più condivisione dei link .

Dato che il social vive dei contenuti creati dagli utenti, c’è un continuo spingere da parte del social  a postare:  dalla domanda “a cosa stai pensando” al ricordo del fatto che hai salvato un elemento da giorni, o che sono settimana che non crei post sulla tua pagina.Quasi stizzito Facebook ci ammonisce perché non facciamo quello che lui si aspetta da noi.

Esistono altri social attivi e altri ne nasceranno ma credo che questa breve carrellata possa essere sufficiente a farsi una domanda:

In che modo la fotografia entra in questa modernità fatta di velocità e superficialità?

 

Innanzi tutto va distinta l’idea di fotografia legata a un concetto profondo e storico e a volte artistico della stessa, dall’utilizzo dell’immagine che oggi si fa. Si tende a dire che siano i giovani a utilizzarle in un determinato modo ma anche mia madre, che non è più una bambina, utilizza la chat di Facebook e posta delle sue immagini.

Così come è scomparsa la scrittura per argomentare un contenuto in maniera più o meno approfondita, dai social sta sparendo la fotografia che fa pensare e, al suo posto, esiste l’immagine latente, istantanea che porta un messaggio veloce e leggero, spesso superficiale e anche di breve durata.

Mi sembra che questa nuova forma di comunicazione sia un modo per ricordare all’altro di essere vivo ma senza disturbarlo eccessivamente e senza , dio non voglia, costringendolo a pensare:

ti mando una mia foto con le giostre dietro e i miei occhi a cuore così tu saprai che sono li, non te ne fregherà nulla ma farai un sorriso leggero e veloce come il messaggio ricevuto.

Molti fotografi credono che la fotografia stia perdendo di senso perché tutti possono fotografare, io invece credo che la perdita di senso non sia nelle possibilità offerte dai mezzi tecnologici, ma dall’effetto collaterale di un mondo che cerca di creare automi e non individui pensanti.

I nuovi social, da un certo punto di vista,  non avvicinano ma allontanano le persone dagli altri e sopratutto da se stesse.

 

Cosa credo debba fare la fotografia oggi?

Premesso che la maggior parte dei discorsi legati al senso della fotografia hanno come tema di fondo non tanto la fotografia in se ma il modo in cui questa possa portare soldi nelle tasche di noi fotografi , credo che rimanga un senso sociale della fotografia e un suo ruolo fondamentale, quello di far pensare.

Da questo punto di vista cosa è cambiato dal passato? Nulla di nulla, a parte il mercato che deve inventare nuovi significati per vendere.

Il mondo si dibatte sull’umanità, sull’arte, sulla fotografia ma in fondo cerca solo soldi e consenso e finché saranno questi i fattori determinanti non sarà solo inutile parlare di arte e fotografia, ma sarà inutile parlare di pensiero che morirà nell’ipocrisia del secondo fine.

Con questo non voglio dire che non si debba avere un occhio al mercato, anzi credo sia fondamentale, ma bisogna anche essere onesti con se stessi e distinguere la creazione sentita dalla creazione a scopo di lucro… se poi in alcuni rari casi queste due corrispondono questo è un fattore che non fa la minima differenza rispetto a quello che ho appena detto.

Quindi miei cari amici fotografi non preoccupatevi tanto di dove sta andando la fotografia ma piuttosto di dove state andando voi… in fondo la fotografia fa come la neve in una canzone di Ligabue, se ne frega.